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venerdì 16 dicembre 2011

Quando la perfezione sa di plastica





"C’era una volta una bella ragazza che si chiamava Ombra. Aveva perso entrambi i genitori ma aveva uno spiccato talento per la spada. Nonostante avesse gambe tornite, un florido seno e una fluente chioma rossa, il suo carattere era quello del maschiaccio e non avrebbe ceduto il passo a nulla e a nessuno senza combattere. A volte piangeva, ma quelle lacrime non la indebolivano, anzi! Era bella e coraggiosa e riuscì ad affermare la propria supremazia contro l’armata del Principe delle Tenebre..."


E poi… Ebbasta! Questa è la classica descrizione di un personaggio che, con poche varianti, avrete certamente letto o visto al cinema moltissime volte. Parliamo di uno stereotipo che, nella narrativa, spesso riflette l’alter ego dell’Autore, o dell’Autrice, la cui variante maschile è detta Gary S(t)ue. Le sue caratteristiche fisiche e psicologiche possono essere tante, ma per descriverla è sufficiente una sola parola: Mary Sue è una gnocca pazzesca.



Le Origini:

"A Trekkie's Tale", era un racconto scritto da Paula Smith nel 1973 e pubblicato sul numero 2 della fanzine Managerie. Protagonista della storia era, guarda caso, un luogotenente della flotta stellare dell’universo di Star Trek, serie che, allora come oggi, vantava tantissimi estimatori. Il racconto era una bonaria parodia dei personaggi tipici delle fan fiction, ovvero delle storie scritte da fan di un romanzo o film incentrate sullo stesso personaggio o su personaggi a esso corrispondenti. Spesso i personaggi di una fan fiction sono irrealistici e totalmente fuori dal contesto della normalità. Al’epoca di cui parlo, le Mary Sue di startrekkiana memoria erano adolescenti esteticamente graziose e abili in qualsiasi cosa (la stessa Smith descrive il luogotenente Mary Sue come il più giovane della flotta, neanche sedicenne!) che flirtavano con i personaggi adulti della vera serie, con improbabili storie d’amore. Col tempo, il concetto è uscito dai canoni delle parodie startrekkiane per adattarsi a ogni genere di narrativa o di realizzazione cinematografica, diventando la regina degli stereotipi.


Una possibile Mary Sue


Connotazione:



Per essere una perfetta Mary Sue, la protagonista è spesso una versione idealizzata dell’Autore o dell’Autrice del romanzo. I suoi pregi saranno più importanti dei difetti, sarà abilissima in qualsiasi cosa e nonostante tante difficoltà non soccomberà ma, anzi, farà fuori tutti i nemici, magari all’ultimo momento utile. Si tratta, in pratica, di un personaggio senza una reale caratterizzazione, troppo perfetto per essere vero e che, detta in soldoni, non sta ne in cielo né in terra. Vediamo quali sono le sue caratteristiche generali:


a) Occhi e capelli di colori inesistenti o comunque esageratamente perfetti

b) Poteri magici acquisiti per nascita (predestinazione) o abilità fuori dal comune

c) Carattere ribelle e/o tenebroso

d) Eventuali compagni di viaggio non realistici perchè troppo incapaci se confrontati con lei o inetti 

e) Un passato tragico o comunque tale da attrarre le simpatie di chiunque incontri


Proprio la caratterizzazione piatta del personaggio stride con il successo che riscuote nella storia. Mary Sue è tratteggiata come una ragazza timida e impacciata ma che subito, incredibilmente, riscuote l’ammirazione di tutti. Nei romanzi Fantasy non è difficile riconoscerla: le va tutto bene anche se frigna in continuazione. Non ha mai freddo, anche se il suo solo vestito è uno straccio di pelle sui seni o intorno alla vita. Nonostante sia un’abile guerriera NON la vediamo quasi mai in un combattimento realisticamente descritto, ma in compenso vince sempre. Il suo carattere è fiero ma sensibile (caratteristiche del tutto antitetiche tra loro) e nonostante le già citate abilità guerriere è bellissima, ha capelli fluenti, un viso angelico e occhi magnetici. Una Nihal perfetta, se ci fate caso.


Nihal

Forse la Mary Sue per eccellenza, negli ultimi tempi, è Bella Swan, il cui cognome non a caso significa "cigno": un personaggio che fa della propria timidezza e buffa goffaggine la ragazza perfetta per essere l'eroina della saga di Stephenie Meyer. Nei romanzi d’amore, Mary Sue è la ragazza di umili origini che riesce a sposare il bellone della storia o la sofisticata donna dell’alta società alla quale uomini, gioielli, ville con piscina e roba varia cadono immancabilmente ai suoi piedi. Sull’altro versante, quello maschile, Gary S(t)ue è sempre:

 
a) Bello e tenebroso

b) Coraggioso o, al contrario, un perfetto nerd ma con una fortuna incredibile

c) Sensibile oppure scontroso, ma in fondo tenero

d) E' spesso erede di una fantastica rivelazione, di un patrimonio da re o, se povero in canna, riesce abilmente a diventare economicamente rispettabile.

e) Predestinato e abile guerriero. In battaglia non riceve mai colpi potenzialmente mortali e all'ultimo momento la tal tecnica da guerra gli riesce bene per ogni azione 

f) E' ovviamente al centro delle attenzioni femminili


A parte la già citata Nihal che frigna dalla mattina alla sera e si veste come una mignotta di un club di bondage, troverete sue colleghe praticamente ovunque. Unika, eroina dell’omonima trilogia il cui primo volume abbiamo recensito proprio su queste pagine, ne è forse l’esempio più evidente. Ma di Mary Sue/Gary S(t)ue abbonda il mondo, basti guardare a tantissimi protagonisti di film e romanzi pubblicati nel corso degli anni. Chi non ha mai visto "Kill Bill", di Tarantino? Vi pare possibile che una persona per quanto brava, riesca a fregarsene delle pallottole solo facendo roteare una spada e senza uno straccio di protezione?



Per quanto ci provi, lui non può far nulla contro le pallottole...



Lei, invece...

O che Niu Riivs di "Matrix" in quattro e quattr’otto da predesti-morto diventi predesti-nato e sgomini il cattivo superprogramma senziente Smith? O che il riflessivo e sagace Sherlock Holmes diventi una sorta di supereroe Marvel nell’omonimo, recentissimo film? E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Mary Sue o, per meglio dire, Gary S(t)ue, sono anche tanti esempi di serial killer che in tantissimi film ollyvvudyany escogitano complessi trucchi per far fuori o comunque fare a pezzi le proprie vittime. Se state pensando all’Enigmista avrete presente il tipo.


Il Marketing:

Anche gli spot pubblicitari hanno le loro Mary Sue. Sempre più spesso, vediamo supergnocche stellari alte, eleganti, con due/tre figli, impeccabili, cucinare piatti deliziosi in meno di cinque minuti, allo stesso tempo restando mogli perfette. Lo stesso vale per gli uomini: se avete presente quell’obbrobbrio chiamato Cento Vetrine, capirete subito di cosa parlo.


Bene. Io sono convintissimo che i miei personaggi della Prima Generazione e quelli della Seconda non siano affatto rispondenti a questi canoni, ma ovviamente da buon essere umano il mio parere non è sempre perfetto. Cerco però di documentarmi al meglio e di non cadere mai nella fossa degli stereotipi. Ma come può uno scrittore alle prime armi fare in modo che il suo/la sua protagonista non risponda a questi canoni? Intanto, cercare di farsi una certa erudizione delle cose che vuole tratteggiare. Avete mai notato come, in molti romanzi fantasy odierni, i viaggi siano sempre molto lunghi ma alla fine semplici da descrivere mentre così non è per i combattimenti? Tanto è vero che solitamente si risolvono in modo raccontato e non mostrato. Si tratta di un indizio evidente che l'autore non si è documentato sulle tattiche militari. Di scarsa documentazione non sono immuni solo certi scribacchini odierni, ma anche diversi Grandi. Per esempio,  nel suo racconto "Il Tempio", Lovecraft descrive un sottomarino tedesco, l'U-29, dotato di oblò per l'osservazione, ma nessun U-boote è mai stato caratterizzato da oblò che in realtà sono pericolosi punti deboli in caso di azione bellica. Neanche il suo romanzo "Le Montagne della Follia" è esente da errori del genere. La storia è ambientata in Antartide, eppure i protagonisti non indossano mai pellicce molto coprenti così come è raro, anche se non impossibile, che un professore universitario sappia pilotare un aereo, soprattutto in condizioni ostili come quelle descritte.  E tuttavia Lovecraft non solo si documentava tantissimo, ma era anche sorprendentemente umile nei confronti delle sue (ottime) storie. La sola via di uscita dal pericolo dello stereotipo è proprio quello della documentazione e dell’esame dei romanzi più validi. Se ci fate caso, il Frodo tolkeniano non è un Gary S(t)ue perché è una persona con i suoi dubbi e relative esitazioni. Sono proprio i suoi difetti a renderlo umano e, quindi, credibile. Anche Conan il cimmero, il rude personaggio inventato da Robert E. Howard, benché agile guerriero e dal corpo “ipervitaminizzato”, nonché evidente alter ego dell’Autore (che era alto e amante dello sport) aveva non pochi difetti. Per quanto mi riguarda, il personaggio di Howard che preferisco è lo spadaccino puritano Solomon Kane, la cui caratterizzazione è allo stesso tempo precisa dal punto di vista storico e affatto portata allo stereotipo. Per esempio non ha mai una liason con nessuna e al contrario del celeberrimo 007, alias James Bond, non è particolarmente attraente, si muove in un contesto storico ben preciso anche se l’Africa howardiana era una versione un tantino esagerata della vera Africa.  


Morale della favola:

Ovviamente è più semplice descrivere personaggi perfetti, sia esteticamente che per varie abilità, ma il farlo non comporta mai un deciso passa avanti se il nostro fine è scrivere narrativa di qualità. E la moda di oggi, che vede spesso adolescenti predestinati o capaci di incredibili qualità, suona stridula. Pensate alla saga dei Transformers... Perchè mai esseri robotici "buoni" di tale potenza e dimensioni dovrebbero fregarsene di ragazzini americani o degli eserciti terrestri, dal momento che dispongono di una potenza di fuoco e interessi in contrasto con quello della nostra specie? Con quanto detto non intendo scatenare una privata caccia agli stereotipi perchè anch'essi, se ben dosati, possono concorrere a fare di una storia una buona storia. Semplicemente, ciò che lo scrittore deve fare è di cercare sempre un punto di vista oggettivo senza ricorrere a iperboliche descrizioni tanto eccessive quanto evidenti. Cosa è meglio? La supermodella della quale senza photoshop risultano evidenti le rughe d'espressione o la ragazza "solo" carina, ma più vera, che possiamo incontrare ogni giorno? Anche un bravo scrittore dovrebbe fare così, vale a dire scrivere un romanzo con il fine di separare sempre la plastica dalla vita vera, la sola in grado di regalare sapore all'esistenza.


Massimo Valentini





sabato 10 dicembre 2011

Il grido dell'Arte




Spesso abbiamo parlato di arte scritta e di come essa sia diversa dal resto delle attività umane. Specificando anche che diversa non significa migliore ma, semplicemente non meccanica, come invece può esserlo un altro lavoro. Abbiamo parlato di casi editoriali, romanzi validi e meno validi, del valore delle opinioni, di quello delle regole. Ma, da quanto detto, forse alcuni si saranno chiesti se il solo modo per scrivere un buon romanzo o valide poesie sia solo quello artistico. Non è così perchè scrivere bene è una questione di tecnica che chiunque può imparare: dipende dalla voglia di studiare per ottenere risultati. Cosa assai diversa è il Talento che, al contrario, è una questione di genetica. O lo hai o non lo hai. Esso è lo "spirito" dell'arte, il deus ex machina necessario a fare di un buon romanzo un Romanzo. Gli Scrittori Veri, al pari di altri artisti, sono effettivamente personaggi eccentrici, a tratti curiosi, ma sempre fuori dagli schemi. Non sono quasi mai scrittori professionisti perchè il loro fine ultimo, al di là della mera sopravvivenza economica col loro lavoro (quasi mai raggiunta) è solo la soddisfazione di un bisogno. Soddisfare quel bisogno è come soddisfare il bisogno d'aria: se non respiri, muori. Scrivere arte non è quindi semplice passione. Si può avere la passione per lo sport, per il ballo, il nuoto, per la cioccolata. Si può avvertire la mancanza del calcio, del nuoto, della crema al latte, ma non si muore. L'arte è invece come una dea, un qualcosa che non ha una forma ben definita ma che avverti in solitudine, quando la voce del mondo tace perchè sei lontano, su una spiaggia deserta senza un'anima nel raggio di cento miglia, e che ti parla anche quando sai benissimo che quella dea non abita l'alto dei cieli ma il tuo spirito. Ma questo è valido solo per coloro i quali avvertono innato il bisogno di farlo, cioè di esprimere qualcosa che non ha forma. Per quanto riguarda il talento non esistono regole e ogni scrittore ha le sue idee in proposito. Il Talento, però, da solo, non basta: servono anche le regole. Chiunque può scrivere meglio se studia bene, proprio come un body builder o un’esperta di fitness devono seguire coscienziosamente un programma di allenamento per produrre risultati. A un livello più propriamente pratico, scrivere bene deriva  da un buon uso delle regole. Non è poi molto diverso dallo sport o dalla fede del credente medio. Come esistono molti più sportivi che Campioni, molti più credenti che Santi o Profeti, così esistono molti più scrittori professionisti, semplici appassionati che Scrittori Veri. Vediamo degli esempi:


Sport

Chi pratica Body Building nell’immaginario popolare è sovente dipinto come un omone (o un donnone) testa piccola e muscoli possenti. Una specie di uomo delle caverne. Al di là se ci piaccia o meno la disciplina in questione, tale osservazione è fuori luogo: se è vero che non occorre essere novelli Einstein (ma niente vieta a figure geniali di praticare sport…) per diventare body builder è anche vero che per ottenere risultati queste persone devono imparare molto di come funziona il corpo umano, com’è fatto, gli allenamenti, le tecniche per migliorare i propri muscoli. Ad esempio, è opinione comune che l’allenamento di questo sport preveda il miglioramento muscolare semplicemente sollevando pesi più o meno disciplinati da un trainer: sbagliato. Gli esercizi fisici non servono a migliorare i muscoli ma a distruggerli! E’ quel che si chiama “recupero”, ovvero il riposo dopo un set attentamente calibrato dal trainer, a consentire al corpo di riparare le varie microlesioni muscolari al fine di riparare i danni e irrobustire i muscoli conivolti... Detta in due parole, le fibre muscolari danneggiate sono riparate con l’aggiunta di un “extra”: questa è l’essenza di un allenamento da builder, qualcosa di simile alla riparazione biologica di un osso rotto. Proprio come il riposo è necessario per far formare il “callo osseo” e rendere così l’osso stesso più robusto di prima, così il muscolo danneggiato in modo mirato dall’allenamento diventa più potente. Un muscolo che abbia effettuato un set di allenamento specifico richiede circa tre giorni di riposo; se si ignora il trainer si rischia di fare danni perché l’organismo faticherà a riparare e migliorare i gruppi muscolari coinvolti e sarebbe un disastro. Possiamo allora vedere l’allenamento come lo studio, un atleta famoso come il modello da seguire, la consapevolezza di potercela fare come la Fede che illumina le speranze dello sportivo. Non è tutto rose e fiori: un organismo che affronta un tale tipo di stress richiede costanza, allenamento, riposo e alimentazione adeguata. Il bello del Body Building è che è un’attività dove contano i risultati, non le chiacchiere e neanche l’impegno assoluto, ma solo quello di chi fa le cose giuste. Chi dà il massimo ma fa le cose sbagliate è un idiota e come tale è conosciuto.



Religione

Il Vecchio Testamento descrive un Dio non esattamente benevolo ma, al contrario, esigente e severo: così severo che non esitò un attimo a distruggere il mondo con il Diluvio, scatenare le celeberrime distruzioni che tutti conosciamo, esigere sacrifici e premiare i più meritevoli. E’ il Dio cui tutti dovevano rispondere e per farlo al meglio si dovevano studiare testi adatti: Tavole della Legge, la Bibbia, i Precetti. Gli esempi da seguire, erano i Profeti e la loro vita un Ideale verso cui tendere. Il Dio del Vecchio Testamento non amava le scuse. Voleva fatti e risultati, tutto il resto per Lui non aveva valore. Un Dio che non ama gli sciocchi, gli ignoranti, i faziosi. Ma è anche un Dio che premia con generosità chi lo compiace e accoglie senza pregiudizi chi ha sbagliato se questi inizia a seguire correttamente i Suoi sacri precetti.



Scrivere

Scrivere è la stessa cosa. Se scrivo un racconto o un romanzo a nessuno importa come lo abbia prodotto: conta solo il risultato dello studio, del Talento, della passione, delle capacità che ho usato per finirlo. Se scrivo un racconto scadente non è un dramma, a patto che cerchi di migliorare studiando e seguendo bene i precetti. Sia il Body Building, la Fede e lo Scrivere prevedono che il risultato non abbia nulla in comune con il come: ciò che conta è la qualità. Scrivere implica lo studio, la riflessione, inventare una trama, le scene, i personaggi interessanti, il provare le varie scene, correggere, smontare, gettare via, assemblare, migliorare. Chiamiamo il risultato di quest’attività Storia, Romanzo, Racconto. Chiunque può imparare a scrivere meglio proprio come chiunque, a condizione che segua un buon trainer e faccia un uso coscienzioso dei libri, allenamenti, precetti, sia coscienzioso, segua un modello e si faccia una Fede sua propria. Attenzione, però: ciò non vuol dire che chiunque diventerà uno Scrittore della Madonna ed è a questo punto che conta il Talento: esso esercita la differenza tra uno scrittore professionista o amatoriale di buone capacità e l’artista della penna. Ma il miglioramento non è negato a nessuno, proprio come nel Body Building e nello studio dei precetti religiosi.



Il Metodo

Quale idea potremmo trarre da tutto questo? Beh, è presto detto: che non conta ciò che fai né come lo fai: conta solo il risultato di quel che fai. E’ dal risultato che si evince il talento, la bravura o l’incompetenza di chi scrive, prega, esercita. Chi pratica sport a livello professionistico sa che integratori alimentari, il funzionamento del proprio corpo, il trainer giusto e i propri ideali sono importanti per raggiungere il risultato. Tutto questo è descrivibile con una sola parola: metodo. E l’uso di quel metodo che configura i risultati, ma è necessario che il metodo scelto sia il più confacente alle caratteristiche dello sportivo, del credente, dell’artista. Attenzione, però: ciò non vuol dire che se mi alleno sei giorni su sette, mi faccio aiutare da un eccellente trainer e vedo i risultati ciò significa anche che sono uno sportivo di razza. Vuol semplicemente dire che diventerò una persona più prestante in molti campi, soggettivo, estetico, forse anche sessuale (intendendo con ciò la possibilità di essere considerato seducente da esponenti dell’altro sesso) ma ciò non ha nulla a che vedere con l’Innovazione. Tornando al nostro campo d’elezione, l’arte scritta, vuol dire che il metodo, ovvero lo studio, il documentarsi, il provare e il riprovare, l’ispirazione servono a fare di chiunque uno scrittore discreto, capace di inventare trame abbastanza efficaci e storie abbastanza buone da piacere a tantissime persone. Diventeremo, insomma, quel che si dice uno scrittore professionista: ovvero un tizio capace di scrivere secondo i gusti di un certo pubblico e le proprie inclinazioni e potenzialmente in grado di vivere del proprio lavoro. Ma uno scrittore del genere sarebbe anche un artista? Non proprio: sarebbe però abbastanza abile da non essere un perfetto idiota per quanto riguarda la penna.


Copertina de "Il Corvo", di Poe

Questo perché Scrivere, come Dipingere o fare lo Scenografo per professione può tranquillamente essere un qualcosa di meccanico e preordinato. Sta al talento rendere speciale quel qualcosa di preordinato, come fu per esempio il caso della bellissima poesia "Il Corvo", di E. A. Poe. Quando fu pubblicata tutti pensarono al risultato di un estro esclusivamente istintivo e furono assai stupiti quando lo stesso Poe affermò di averla composta non in preda all'estasi artistica, ma seguendo scrupolosamente le regole dell'Estetica. In questo senso, la perfezione di quella poesia si deve a entrambe le cose, metodo e talento. Il metodo, se vogliamo, è un concetto meccanicistico: lo stesso che è la base per i vari casi editoriali costruiti a tavolino (spesso NON italiani) come potrebbe esserlo il recente “Angelology”, tanto per citarne uno solo. Perché escludo i casi italici? Non per sfiducia verso la capacità italica di sfornare romanzi leggibili e ben scritti, ma perché non mi fido del sistema nel suo complesso. “Angelology”, nonostante a me puzzi di operazione commerciale lontano un miglio, è scritto innegabilmente bene: l’autrice, o chi per lei, si è documentata bene, l’editing è stato fatto con un certo gusto, trama e personaggi hanno un senso ben preciso. Al contrario “Unika”, prodotto che, sono sicuro, è italico al 100%, è raffazzonato, scritto coi piedi, stupido, disarmante. Una schifezza, insomma. Così è la gran parte del Fantasy Italiano: scopiazzato, chi più chi meno, dal solito modello, Tolkien, ed edulcorato a livelli ignominiosi. Sempre più spesso ascolto con stupore l’esternazione di vari scribacchini affermare con piacere di non aver mai letto Fantasy prima della propria ciofeca del proprio capolavoro… Non occorre fare nomi: sono sempre i soliti. Chi legge per passione, ed è quindi un lettore esperto, se ne accorge dalle recensioni tutte uguali, osannanti a tal punto da essere semplici dispacci. Forse il punto di vista più serio, non sempre valido ma almeno diversificato, è proprio quello offerto dalla Rete. Esistono tanti siti, non solo Gabbiani, che offrono recensioni più o meno valide ma soprattutto indipendenti. Peer quanto riguarda le realtà editoriali solo alcune piccole e medie Case Editrici si salvano da tale contesto perché sono prive di quella massa critica che le porterebbe inevitabilmente a pubblicare schifezze pur di accontentare i guadagni. O perché sono ancora giovani, e quindi in un certo senso “innocenti”, e fanno le cose col coraggio e la follia tipica di chi crede in un progetto. Anche per questo, alla fine, dobbiamo diffidare di chi pubblica a pagamento: chi lo fa di solito non crede nel manoscritto, ma solo nei soldi dell’autore. Ciò non vuol dire che chi pubblica a pagamento sia sempre un imbecille della penna, basti guardare le schifezze pubblicate oggi per meri motivi economici. Vuol dire, però, che ha scelto la via più semplice ma non la migliore.



l'arte è qualcosa di più di una passione: è un Destino


L’Arte Scritta

Per creare Arte si deve disporre di due cose: Talento e Tecnica. La seconda s’impara il primo è una caratteristica genetica. A livello mentale, qualsiasi tipo di Arte è prima di tutto un grido. Il grido di un essere umano che reclama allo stesso tempo il proprio Io, la propria Vita, la propria inutilità. Perché dico questo? Perché chi scrive o dipinge non è un uomo o una donna migliore di altri. Spesso è anche folle, eccentrico, sedotto solo dalla contemplazione delle cose e non dalla loro fruizione. E quasi sempre è povero in canna. Chi si accosta a una forma d’arte non lo fa perché vuole essere famoso e amato e invidiato da tutti. Questa componente, anche se presente anche nell’artista, non è la principale che è invece la volontà di uno sfogo interiore. Un grido, appunto, per cercare un mondo simile al proprio e scoprire che non esiste e pertanto è un grido inutile dato che, per dirla con Oscar Wilde,  la vera Arte è anche perfettamente inutile essendo nata da uno sfogo interiore che ha bisogno di uscire fuori. E quando esce è una liberazione che gli altri non possono sempre capire.  Così erano Poe, Lovecraft, Dick, Heinlein, Kafka, Hodgson, Salgari, Woolf, Moore e tanti altri nomi storici oggi considerati di grande importanza. Non esiste una regola empirica che possa descrivere la più sfavillante e allo stesso tempo inutile delle attività umane. Sfavillante perché capace di creare capolavori immortali capaci di brillare per sempre, inutile perché dal punto di vista degli altri è priva di senso. Se dovessi coniare una definizione per l’Arte di tutti i tempi e di ogni tipo direi che essa è Cristallizzazione ed Evoluzione. Un modo per cristallizzare su una tela o sulle pagine di un libro ciò che agita il proprio Io Immortale. Allo stesso tempo, però, essa è anche un modo, spesso il solo a disposizione di quegli spiriti inquieti che l'esperiscono, di evolvere e diventare qualcos'altro. Diventare, forse, il tuo vicino di casa, ma anche orgogliosi di essere per sempre e solo, Gabbiani delle Stelle.


Massimo Valentini




venerdì 2 dicembre 2011

"La Leggenda di Earthsea", recensione






Eccovi una nuova recensione fantasy ma questa volta si tratta di un libro, anzi, di una serie di libri che oggi definiremmo classici, se non fosse per il fatto che questi romanzi sono tra i migliori del loro genere. Ursula K Le Guin è una delle indiscusse regine del Fantasy a livello mondiale e le sue opere hanno letteralmente fatto incetta tra i premi più prestigiosi sia in ambito Fantasy che della Fantascienza. Nata in California, a Berkeley nel 1929, l'importanza letteraria di questa Autrice è pari se non migliore, di quella di mostri sacri quali Tolkien, Ende e Lord Dunsany. Il Libro di cui vi parlerò oggi, “La leggenda di Hearthsea” è una raccolta di brevi romanzi fantasy che compongono la Saga di Earthsea. Protagonista è il mago Ged (chiamato anche “Sparviero”) la cui esistenza è costellata da eventi più o meno tipici, ormai, del panorama fantasy mondiale, ma descritti in modo tale che sembrano usciti da un resoconto medievale.



Ursula K. Le Guin


Trama:

Il Mago di Earthsea: è il primo libro della saga di Earthsea e narra la storia di un ragazzo semplice la cui crescita “magica” è in realtà un espediente letterario per mostrarne quella emotiva e quindi umana. Solitario, non eccessivamente ciarliero, Ged è un pastore dell'isola di Gont, una terra periferica facente parte del vasto arcipelago di Earthsea. Possiede il dono della magia e riceve dalla zia, strega del villaggio, i rudimenti della Conoscenza. Egli riceve il nome adulto dal mago Ogion, noto come “Il Taciturno”, ma ben presto il desiderio di imparare cose nuove convince il ragazzo a partire per la scuola di magia di Roke, l'Isola dei Saggi. Là comincia per lui una nuova vita, con un "nome d'uso" anch'esso nuovo, Sparviero, insieme a studenti più o meno coetanei, tra amicizie e rivalità. La sua inesperienza, la voglia di imparare troppo in fretta e una certa irresponsabilità causeranno la morte del Gran Mago di Roke e la comparsa di una pericolosa Ombra. Braccato da questa, il giovane fugge vagando per terre sconosciute fino a quando torna da Ogion che gli consiglierà di affrontare il suo nemico invece di scappare.


Le Tombe di Atuan: Sebbene il protagonista della saga sia Ged questo romanzo narra, con un gusto che potremmo definire “mediterraneo” quanto ad ambientazione) il percorso di formazione di una giovane destinata a diventare  La Divorata, somma sacerdotessa  destinata alla venerazione di Antiche Potenze Senza Nome. Storia ambientata tra cripte e templi di roccia, tenebre e una vita quasi ascetica, fino a quando Artha, la sacerdotessa che muore e rinasce in eterno grazie alla reincarnazione, incontrerà una straniero, un nemico del popolo di Kargard, un mago. Si tratta di Zed che, intanto, è diventato Signore dei Draghi ed è alla ricerca di un talismano di grande importanza: l'Anello di Erreth Akbe. Artha dovrebbe ucciderlo, ma quell’incontro è per lei un traumatico ritorno alla vita vera, quella cui secondo la tradizione dovrebbe rinunciare per vivere per sempre tra le tombe e la venerazione di antichi e terribili dèi. Finisce per legarsi a lui che la porterà a conoscere una nuova vita e la libertà.


  La spiaggia più lontanaLebannen, principe di un'antica stirpe, viaggia verso l'isola di Roke con una richiesta d'aiuto. Earthsea è infatti percorsa da una sottile e indefinibile minaccia: streghe, maghi e persino i draghi perdono l'uso delle parole magiche, ovvero la conoscenza dell'Antica Lingua con cui Segoy, il creatore mitologico di Earthsea, ha tratto le isole dal mare in tempi arcaici. È come se nel mondo vi fosse uno squarcio da cui  refluisce via tutta la magia: serve allora scoprirne le cause e capire come possa essere risanato. Ged, che intanto è diventato arcimago, partirà con lui alla ricerca della soluzione per scongiurare la perdita della magia e il confondersi delle genti.



L'Isola del Drago: Ged e Tenar (che ormai vive una vita perfettamente normale, dopo i suoi trascorsi come sacerdotessa Artha) sono ormai abituati a una vita fatta di cose semplici, e senza fronzoli. Lei sposata a un contadino, lui mago ammirato e rispettato per le sue prodezze e la sua saggezza. Re Lebannen siede ora sul trono di Havnor, mentre Tenar che è diventata vedova, accoglie nella propria casa una bambina che chiama Tehanu (che significa “incendio” perché sfigurata col fuoco da parte della sua ex famiglia di zingari dalla quale è stata abbandonata). Morto il vecchio mago Ogion, quando Ged torna a cavallo di Kalessin, il più antico dei draghi, è svuotato di ogni potere magico; Tenar e la piccola saranno le uniche cose che gli consentiranno di tornare a vivere. Dovranno vedersela con un manipolo di gaglioffi capitanati dal vero padre della bimba e perfino col re Albi.


I Venti di Earthsea: finisce con questo romanzo la saga di Ged ambientata nell’arcipelago delle isole di Earthsea e scritto nel 2001. Ged, Tenar e altri personaggi della Saga sono vecchi e Tehanu è diventata una giovane ragazza. Un incantatore, Alder, chiede al venerando Ged consiglio a causa di frequenti incubi che vive nei propri sogni dove vede la moglie, ormai morta, che gli chiede di essere liberata dal mondo dell'aldilà. Intanto, la principessa Sesserakh è inviata dal padre in sposa a Lebannen, re dell'Occidente, come pegno di pace tra i regni orientale e occidentale. Dovrà affrontare un viaggio pericoloso verso uno sposo di cui non conosce neanche la lingua e che regna su un popolo di cui crede abbia abitudine repellenti.



Recensione:

Ho “conosciuto” Ursula Le Guin grazie a uno dei suoi romanzi di Fantascienza, “La Falce dei Cieli”, pubblicata da noi sempre dall’Editrice Nord. Un bel romanzo, scritto con uno stile fluido e leggibile, dai risvolti seducenti. Proprio questa, oltre a una spiccata capacità di dar vita a una Narrativa di Genere di qualità, è la caratteristica di questa scrittrice: quella cioè di creare mondi fantastici abitati da draghi, ombre, spiriti e alieni molto affidabili e verosimili.  Il "Mago di Earthsea" fu pubblicato negli Stati Uniti nel 1969, ovvero l'anno dello storico allunaggio dell’Apollo 11, i movimenti hippy e, per quanto riguarda la narrativa fantastica, lo strapotere di Tolkien (all’epoca ancora vivo) che grazie a “Il Signore degli Anelli” e “Lo Hobbit” aveva in pratica azzerato ogni tentativo di scrivere un Fantasy migliore del suo. Cosa che, è bene dirlo, non è che sia molto cambiata oggi visto che tanti libri fantasy devono praticamente ogni cosa a un manipolo di Autori come Tolkien, Howard, Bradley e, appunto, alla Le Guin.  Allora come oggi,  il Fantasy non era immune dalle critiche: si pemsava fosse destinato a un pubblico giovane, adolescente, e che ben difficilmente avebbe scalato il successo di una narrativa assai più seria, quella fantascientifica che grazie a prolifici e bravissimi Autori era stata elevata al rango di narrativa di qualità. Ma "Il Signore degli Anelli", per quanto opera immensa, era comunque scritta da un uomo molto conservatore e decisamente allineato alla visione cattolica delle cose. Inoltre i suoi protagonisti lasciavano poca importanza al ruolo femminile, praticamente un campo fertile per un’autrice all’epoca ancora solo fantascientifica, la cui penna era davvero efficace. Pare che l’inizio dell’attività fantasy della Le Guin fosse coinciso con questa strofa, “La creazione di Éa":

Solo nel silenzio la parola,
solo nella tenebra la luce,
solo nella morte la vita;
fulgido il volo del falco nel cielo deserto.


Sebbene anche i mondi di questa Autrice vantino un equilibrio tra Potere e Magia e tra questa e il mondo delle cose, si differenziano da quelli tolkeniani per una maggiore consapevolezza del ruolo femminile, una decisa svolta a livello religioso e profonde conoscenze storiche (i maghi di Earthsea sono modellati sull’esempio dei druidi) con ambientazioni che ricordano moltissimo il Mediterraneo a partire dalla vegetazione, dagli stili di vita per finire alla caratterizzazione degli abitanti. Eppure, al centro della Saga di Earthsea non c’è solo un manipolo di giovani pastori ma personaggi sia maschili e femminili dediti alla ricerca di se stessi e consapevoli di quanto sia importante la crescita spirituale e umana. Il nemico è in pratica esterno, ma il suo tempio è il cuore umano. Lo stile sembra una potente evoluzione di quello di Lord Dunsany (tanto ammirato da H.P. Lovecraft) ma velocizzato quanto basta per essere al passo coi tempi. Nonostante la presenza di draghi, magie e incantesimi l'arcipelago di Earthsea non è poi molto “magico”: è soprattutto etimologico, quasi filosofico. I maghi sono gli unici, insieme ai draghi, a conoscere l'Antica Lingua della Creazione e la magia ha un ruolo importante ma non quanto il lato morale delle cose, delle persone, perfino di esseri mostruosi come gli stessi Draghi. Gli ultimi due libri della saga sembrano un po’ tirati per i capelli rispetto ai primi tre, ma nondimeno lo stile è sempre asciutto e rapido come una lama, semplice, profondo, affatto portato a certe sdolcinatezze senza senso tipiche del Fantasy all’italiana, ma anche lontano dalle contaminazioni splatterose e pruriginose di quello anglosassone come quelle de “La Spada della Verità”. La Saga di Earthsea non contempla eroi bellissimi e senza paura, eroine splendide che finiscono a letto con l’eroe del momento, esili fanciulle predestinate in grado di dominare draghi e altri mostri, combattimenti cruent o esilaranti, descrizioni fini a se stesse, eppure appassionano anche lettori non molto avvezzi al genere. Per un certo aspetto, direi che i mondi fantastici della Le Guin sono quasi un aspetto femminile di quelli maschili di Tolkien. Perchè quando questi descrive i suoi mondi e i suoi personaggi, lo fa con un'accuratezza storica, folkloristica e umana di grande carisma; lo stesso fa la Le Guin, ma se ne differenzia per una visione più attenta alle sensibilità umane, anche femminili, che è semplice ma allo stesso tempo energica. Parliamo di uno stile che non sempre rispetta il principio dello Show don't tell che va di moda oggi, ma che riesce a far tremare davvero il lettore, cosa che è poi tipica dei veri maestri dell'arte scritta. Ged è un uomo non molto alto, di aspetto normale, che attraversa le tipiche fasi che dall’adoloscenza lo faranno diventare uomo prima che mago. E così Tenar, fanciulla attraente ma in fin dei conti non bellissima, quindi senza occhioni viola e capelli blu Licia Troisi style, sceglierà di diventare la moglie di un contadino, madre, vedova e poi di nuovo madre, anche se adottiva. Gli stessi draghi, esseri senzienti, minacciosi ma in fondo “umani” se guardiamo con attenzione alle loro emozioni, sono ben descritti e quindi verosimili, sebbene rispondano a una visione tipica del mondo medievale. Nella pratica, la Saga di Earthsea non sfoggia “effetti speciali” ma non annoia mai. Oggi come ieri, lo stile unico e inimitabile di questi e altri romanzi del genere sembra essere un monito alle giovani generazioni di scrittori ponendo questo interrogativo: si può scrivere un Fantasy di qualità, senza eroi scintillanti e poco credibili, senza elfi fin troppo umani e umane fin troppo elfe, ma caratterizzati da ambientazioni attente e curate al dettaglio? Certamente, ma è necessario disporre di competenza, pazienza e talento; le sole “medicine” che possano essere l’efficace antidoto all'arrogante dilettantismo travestito da arte di oggi.



Massimo Valentini