Translate

domenica 19 febbraio 2012

Arte e Regole




Credo di dover spiegare cosa intendo per regole e cosa per creatività artistica, dal momento che le vostre discussioni sull'argomento sono state ampie e variegate. Le regole letterarie, proprio come quelle relative a qualsiasi altra branca del sapere umano, non uccidono la creatività né sono fatte per essere infrante, come recita invece un adagio comune. Vuoi descrivere astronavi marziane che arrivano sulla Terra e distruggono tutto? Del belloccio che sposa la ragazza di umili origini? Del vampiro assetato di sangue che vampirizza una vergine per farne la propria sposa? Di uno squalo che uccide ragazze che fanno il bagno al crepuscolo? Di qualsiasi cosa tu voglia parlare devi conoscere le regole per creare i personaggi, storie e scene in modo decente. Le regole non azzerano la panoplia di argomenti e anzi ci aiutano a descriverli al meglio delle nostre possibilità. Il fatto che esistano Autori di fama con produzioni poco portate alle regole non inficia la validità di quanto detto: ciascuno di essi è un caso a sé e come tale va esaminato. Attenzione perché seguire le regole non vuol dire produrre romanzi tutti uguali! Quelli si possono scrivere anche ignorandole a bella posta. Giova ricordare che proprio i più grandi seguivano le regole e, in qualche caso, ne hanno scritte di nuove. Anche perché se dovessimo fare i puristi la creatività, almeno quella che lascerebbero vedere posizioni del genere, è morta e sepolta da decenni. Qualsiasi libro, scadente o di valore, è il risultato di regole. Della Fisica, cioè relative alla composizione della carta e dell’inchiostro, della Tecnica, relative al modo di costruire un libro, dell’Ortografia perché se scrivo: “ehi raga vi lovvo tntxxm xk st trpp mtc!!!!!!” può andar bene per un linguaggio da sms (sarò vecchio io, ma non ho mai scritto così da quando uso il telefono…) ma non certo se vogliamo scrivere anche solo una frase affidabile. La Sintassi non andrebbe dimenticata, anche se oggi pare che il congiuntivo sia demodé. Se è allora opinabile pensare che le regole uccidano la creatività è molto più semplice dimostrare come esse la aiutino. Sfatiamo un altro mito e ora mi riferisco all’ottima osservazione di Roberto che ringrazio di aver espresso il proprio parere su “Quattro Ombre Azzurre” e “Gabbiani delle Stelle”. Le regole per i racconti e quelle per i romanzi sono effettivamente diverse. La mia Prima Generazione, ovvero tutto ciò che finora ho pubblicato, si basava sulla fruizione dei migliori Autori del Fantastico che cominciai a leggere ai tempi della mia infanzia e della mia adolescenza. Sono sempre stato una persona abbastanza riservata, più votato a leggere gli Urania che a seguire le mode dei miei coetanei. I classici di Twain, London, Melville, Lovecraft, Moore e altri sono stati per me compagni migliori dei videogiochi. Sulla base delle osservazioni relative a quelle opere cominciai a scrivere brevi racconti, subito gettati via, per approdare in seguito alle prime storie abbastanza valide da essere considerate vendibili in qualità di Nigra. A seguire una bella stasi di oltre dieci anni con molti racconti conservati, ma solo di rado fatti leggere; il primo di essi, "Il Cigno", sarebbe poi diventato la prima storia di "Alfa e Omega", il mio primo libro. Gli altri sarebbero stati pubblicati con il titolo di "Quattro Ombre Azzurre",  omaggio di chi scrive verso Simak.  Come vedete potremmo considerare questo come un percorso classico, forse preferito dai paladini alla “Niente Regole, siamo Artisti!”. Ma, adesso che scrivere è diventato una vera e propria necessità, mi sono reso conto che non è sufficiente leggere ed esaminare i romanzi di migliore qualità se vuoi conoscerne davvero i segreti, invece di scopiazzarli come son soliti fare molti. Chi scrive non è mai stato portato a seguire le convenzioni, fossero anche positive, ma ha sempre preferito fare di testa propria. Ecco perché non ho voluto in alcun modo leggere il solito Tolkien e l’ho fatto solo di recente, per amore di coerenza con me stesso. Sono già nauseato da elfi, vampiri, demoni, draghi e mostri di mezza tacca che vanno di moda i cui Autori, che spesso NON seguono criteri affidabili, per me sono tutti uguali.


Il caccia per Air Dominance F-22 Raptor

Vi faccio un esempio: immaginate di essere un progettista aeronautico e di voler scoprire i segreti del più avanzato caccia disponibile oggi. Per la cronaca parlo dell'F-22, supercaccia stealth dell’USAF. Noterete che le forme sono simili a quelle di una navetta da battaglia alla Star Wars e che la vernice è grigia. Fatto? Solo un idiota penserebbe di replicarne la tecnologia dipingendo un catorcio di grigio chiaro e pensare di aver realizzato il capolavoro del decennio solo per un po' di vernice e una velata scopiaz ispirazione all'aereo reale.  Il risultato di questo è davanti agli occhi di tutti: centinaia di romanzi identici gli uni agli altri, le stesse trame, le stesse storie, ma scritte con cipiglio e qualità ben diverse da quelle alle quali si ispirano. diverse in senso negatibùvo, è ovvio! Tornando all'esempio dell'aereo, capire come vola e perché un F-22 ha quelle forme e non altre esige la conoscenza della tecnica dei materiali, dell'aerodinamica (la cosiddetta Regola delle Aree) e anche un po' di Storia Aeronautica per sapere perché e per come gli aerei precedenti a volte volavano bene e altre volte no. Ergo, lo studio di un'opera letteraria di qualità non implica che chi la legga soltanto poi possa replicarla o perfino migliorarla. L’esame di un romanzo ha senso solo se conosci le regole e sai cosa imparare e cosa gettare via. Questo è quanto ho fatto di preciso molti anni fa quando, folgorato sulla via di Damasco, cominciai a fare i miei primi passi con storie mie a tutti gli effetti. Gli echi dovuti a diversi Maestri della SF e del Fantastico si ravvisano infatti a scalare, già a partire da "Alfa e Omega". Già con "Sulle ali di Althaira" feci i primi tentativi di sperimentazione mentre "Gabbiani delle Stelle" è servito come canto del cigno di tutto ciò che avevo imparato. Ma con la Seconda Generazione le cose sono molto cambiate. Parlando di Talento nudo e crudo, se lo possiedi e studi per bene (studiare bene richiede anni, mica giorni…) è probabile che il tuo stile diventi competitivo. Se continuerai a studiare allora potrà essere, forse, che infrangerai quelle dannate regole e potrai scriverne di nuove, forse! Parlando di Grandi Scrittori non è vero né falso che non abbiano mai studiato, se per grandi intendiamo quelli davvero bravi, non quelli che vendono di più. Per costoro, cioè per chi legge libri da poco, vuoi per la giovane età o per una certa affezione alle mode, un capolavoro potrebbe essere anche “Amore 14” o una storiella a base di vampirelli adolescenti. Rispetto tutte le opinioni ma per quanto mi riguarda non è questo che cerco. Al contrario, i Grandi Scrittori hanno tutti letto e scritto manuali. Qualche nome? Stevenson, King, Zelazny… Cretini del genere, insomma. Quanto all’accostamento tra Narrativa e Matematica da me fatto nel precedente post, credo proprio di non essere stato chiaro. A leggere il miglior manuale del mondo non troverete mai le regole per costruire e assemblare una buona storia. I manuali offrono consigli,  dicono quali effetti sono raggiungibili con questo o quell’accorgimento. Esattamente come spiegano i testi di Musica per i quali l’abc della composizione è basilare sia per gli scemi che per i geni. Il fine di un manuale è aiutare a scrivere meglio, non a diventare un Genio della Narrativa Mondiale. Per quello il Talento è fondamentale. Un appunto sullo Show don’t tell, come hanno giustamente osservato Ivan e Margherita. Il "mostrare" non è una tecnica nuova e neanche equiparabile alle altre. Qui dobbiamo capire bene cosa s’intenda con il termine ARTE se applicato alla Narrativa. L’arte non comincia fino a quando il romanziere o aspirante tale non pensa alla storia da mostrare in modo che si racconti da sola. La faccenda deve sembrare vera e questo è tutto. Non va solo raccontata altrimenti la sospensione dell’incredulità va a farsi fottere. Ora considerate questi due esempi:



“Verso mezzogiorno il sole era alto e Nathan era stanco. Aveva voglia di rinfrescarsi, fare un bel bagno e levarsi di dosso la stanchezza che lo rendeva fiacco e stanco. Poi guardò la sua compagna, Sharitza, che invece era fresca come una rosa. Era una ragazza bellissima dai capelli corvini che le arrivavano a coprire le spalle, folti e lucenti. Il viso era un delizioso ovale con occhi luminosi come stelle e azzurri come il mare. La giovane fissava l’orizzonte con un’espressione corrucciata sulle belle e morbide labbra, toniche come l’incavo tra i seni perfetti. Quando lei lo guardò scoppiò a ridere e lui avvampò di vergogna…”



Adesso considerate questo:



“Il sole era alto. Nathan ne avvertiva il calore che picchiava come un maglio sugli occhi, il sudore che rendeva la pelle un tutt’uno coi vestiti. La gola gli si era fatta secca e sulle labbra riarse passò la lingua con un movimento istintivo. Non aveva più saliva e le forze cominciavano ad abbandonarlo. Mentre così pensava, gli capitò di lanciare un’occhiata alla sua compagna che avanzava spedita, in apparenza invulnerabile ai morsi della fame e della sete. Piccole perle le correvano sulla fronte ampia, indugiavano sugli occhi chiari per scivolare poi rapide sul collo esile. Le sue falcate regolari evidenziavano l’addome piatto e le gambe sottili. Quando si volse a guardarlo, lui ne incrociò gli occhi grandi che spiccavano come topazi sulla pelle, candida e lucida per il sudore. Senza volerlo, l’occhio gli cadde là dove la camicia era lacera, proprio all’altezza dei seni, il cui aspetto risvegliò istinti mai sopiti. Accortasi del suo sguardo, la donna si scosse con una mano i capelli neri e setosi e poi scoppiò a ridere. Nathan si sentì un idiota…”



Se la mostri si nota che è carina

Il primo è chiaramente raccontato ed è una merda. Sì, ho detto una merda! Il secondo va un po’ meglio, anche se si può fare di meglio, ma spero mi perdonerete se vi dico che li ho scritti al momento. Ma che la ragazza sia una gnocca il lettore lo capisce da sé grazie al secondo. Nel primo lo racconta solo lo scrittore. Raccontare che qualcosa, una donna, un cane, un paesaggio è bello lo può fare chiunque. Inoltre, la mano dell’Autore non dovrebbe essere troppo presente ma è necessario che lasci campo libero al lettore. Mi piacciono le ragazze magre con le tette grosse? Magari al lettore piaceranno quelle di colore, con i seni appena accennati. Chi ama davvero scrivere tende a mostrare una scena e fare in modo che il lettore giudichi da sé cosa è bello e cosa non lo è altrimenti sono tutti gnokki come Edward e Carine come Bella. E, a proposito, lo Show don’t tell non è una moda cinematografica ma una regola basilare da quando fu inventato il concetto di ARTE. Qualche esempio? George Campbell, abate e scrittore, nel 1750. E dato che gli scribacchini che seguono il cuore sono anche ignoranti come capre preciso che nel 1750 il cinema non esisteva. 1852: il filosofo Spencer (Herbert) con il suo “The Philosophy of Style” ne parlò con precisione. E già: anche nel 1852 il cinema era ancora nel limbo dei sogni. Non dico che per scrivere bene un neofita debba vedersi il teatro Giapponese del 1200 o studiare abati e filosofi, ma almeno che quando si parla di un argomento lo si faccia con cognizione di causa. La sola passione da sola non basta. Se vuoi navigare per mare la passione devi viverla insieme alla tecnica perché una nave non è fatta di sogni e amore! Oggi molti lanciano strali come questo: “Io me ne fotto delle regole. Stà roba che uccide la creatività! E poi il mostrare è la moda di Ollivud. Mica può competere col mio Fantasy da millemila pagine x quattrocento libri/saga/telenovela che parla di Vampiri gnokki e di Elfi Yaoi. Ehi, guardate che ho scritto seguendo il cuore, il sole e l’ammore!” Beh, io non voglio perdere tempo con le stronzate. Non è l’argomento che fa l’Arte ma occorre anche l’umiltà di voler migliorare, di imparare.


Esempio di romanzo raccontato...

Se non lo si fa allora, per esempio, Elfi dai capelli biondi che fanno sesso nella vasca da bagno tra bolle di sapone (Chiara, fai ciao ciao con la manina!) sono il frutto da allucinazione da Vodka. Un’ultima cosa. Le regole e l’ARTE, come diceva il buon Wilde, sono cose perfettamente inutili. Si vive tranquillamente anche senza! A conti fatti il mercato mondiale dei libri è potenzialmente così vasto che davvero lo spazio è generoso con tutti, dall'Artista Eccellente all'ultimo degli scribacchini come chi scrive. Il fatto che mi piacciano libri di un certo tipo non significa che il mio punto di vista sia il solo e gli altri facciano schifo, ci mancherebbe. Vero è, comunque, che le regole che definiscono un'opera d'arte, di qualsiasi tipo essa sia, sono definite con precisione, e io a esse mi appello, relativamente al mio campo. Perchè? Beh, riguarda solo IL MIO MODO DI SCRIVERE: desidero che migliori e prosegua senza badare al commerciale sia per soddisfazione mia sia per chi mi segue, e quindi voi, che così potrete leggere qualcosa di più valido del libro precedente, più emotivo, più scorrevole, più efficace! Se invece scriviamo libri solo per il gusto della pubblicazione allora è una faccenda diversa che non sempre guarda alla qualità. Lovecraft aveva il Talento, ma il fatto che abbondasse con aggettivi e ripetizioni roboanti non può essere negato. I suoi racconti, tutti, sono raccontati, non mostrati. Certo, i migliori sono molto suggestivi e hanno condizionato le nuove generazioni di scrittori del Fantastico, a partire dai suoi amici e colleghi. Però non dobbiamo dimenticare che il Solitario di Providence era uno che studiava e leggeva moltissimo. L'ironia della sorte è che proprio i suoi racconti meno evocativi furono accettati dalle scadenti riviste che per tutta la vita furono il suo solo sbocco creativo. Quando invece migliorò il proprio stile e produsse capolavori fu puntualmente rifiutato. Lo stesso accadde a Poe, per alcuni aspetti anche a Dick, e a molti altri. Passione, Competenza, Sudore e Follia Creativa non sono da relegare in soffitta ma  servono a esplicare l’idea che nasce dall’ispirazione con la tecnica che serve a tradurre l’emozione in un linguaggio migliore. La passione ti fa immaginare un mondo dove realtà e follia sono ordinate da regole che soggiacciono al caos. Ma per un tale guazzabuglio serve la tecnica per essere scritto e così altre storie, altri mondi, altri romanzi. Quanto ai miei nuovi romanzi, solo "ISDN" può essere considerato un'evoluzione della Prima Generazione ma è sempre qualcosa che lancia un ponte verso la Seconda. "Primus" è il primo libro che mi ha visto, in modo più o meno consapevole, sperimentare uno stile del tutto differente. "Nexius" è un mondo ancora diverso, Science Fantasy, che non avrà nulla a che vedere con il Med Fantasy. "Sensum", poi, sarà il lancio verso una Terza Generazione. Tutti questi libri sono stati finiti e/o conoscono al momento la fase della composizione. Sono, o saranno, creati con regole e passione, non con freddi calcoli matematici. Lo capirete da soli quando leggerete “Primus”. Sempre se verrà pubblicato…


Massimo Valentini









domenica 12 febbraio 2012

Così si Sogna, così si Scrive!



Questa volta parleremo di come si scrive Narrativa Fantastica o meglio, di come imparare a scrivere Narrativa Fantastica che sia Fantasy, Fantastico Puro, New Weird o Bizzarro Fiction. Avete capito bene, ho detto proprio imparare. Voi sapete che più di una volta abbiamo parlato della tecnica e del talento, due voci che considero imprescindibili quando usiamo la penna per scrivere delle storie che non siano solo una mera scopiazz ispirazione di quelle che vanno di moda. Storie di buona qualità, storie che in qualche modo possano servire da modello per far evolvere lo stile dell’Autore evitando di farlo arenare sulle scogliere del commerciale. Bene. Prima di continuare a leggere vi pregherei, se pensate di essere Artisti per i quali Cuore, Dolcezza e Amore sono la regola aurea, di girare i tacchi e andare da qualche altra parte. Già perché mi sono seccato di leggere libri e libercoli dove l’autore, non so se in buona fede o meno, descrive il suo romanzo sui vampiri o la sua storia “socialmente impegnata” come espulsa dalla propria anima delicata con contorno di notte buia e tempestosa. La farsesca convinzione che per scrivere bene si debba lovvare il mondo convincerebbe certamente la fidanzata, l’amico, il papi e l’amica del cuore, ma non un lettore onnivoro di Narrativa Fantastica per i quali “Twilight” e le cazzate della Troisi sono, appunto, sciocchezze. Semmai è il modo migliore per farlo arrabbiare per aver speso 20 inutili euro. Ma torniamo a noi: come si impara a scrivere? Alla scuola dello scrittorone famoso che per millemila euro ti insegnerà a distinguere un capoverso da un incrociatore Klingon, magari facendoti studiare, e comprare, i suoi fantasmagorici libretti? (No, non parlo di Baricco, ma confesso che tale descrizione lo ricorda) Affatto: parlo dei manuali, di quelli veri, scritti da gente professionista, preferibilmente anglosassone. Adesso non cominciamo a dire che l’Arte è Ispirazione, palpiti del Cuore e bla, bla, bla! L’arte autentica è prerogativa del Genio. Genio è colui che dimostra una spiccata capacità, il più delle volte innata, per una specifica materia che può essere la Matematica, la Narrativa, la Fisica Quantistica, il Dipingere, ecc. E soprattutto vorrei che rifletteste bene su questi esempi: Leonardo, Bernini, Tesla, Einstein, Bohr, Dick, Matheson, Moore, Lovecraft, Poe, i coniugi Curie, Joyce, Love e tanti altri nomi, famosi esponenti dell’umano genio nel campo della Fisica, Matematica, Narrativa, Illustrazione, secondo voi non studiavano? Leonardo trascorreva ore a sezionare corpi, a studiare capillari e vene, a leggere saggi di maestri a lui contemporanei che parlassero di grana della pelle, studiava i colori, sperimentava. Un matematico? Un ingegnere? Un genio? Certo, Leonardo era questo e anche di più: era un artista. Lo stesso vale per gli autentici artisti della penna. Oggi i media quando si tratta di libri parlano ai quattro venti presentando i libri di Tizio & Caio come capolavori, casi letterari, rivelazioni del secolo ecc. Beh, di solito, si tratta di vaccate. Non penserete davvero che al giorno d'oggi i gegni siano molto più numerosi di un tempo, vero? Del resto, non sarebbero geni se ne esistessero così tanti... Tornando alla realtà, per scrivere un romanzo efficace, per dipingere un viso di donna che sembri “vivo”, per capire come funziona l’universo servono due cose: un’eccellente fantasia e una perfetta esecuzione delle regole. Pensiamo a gente come Bach o Beethoven, adesso. Se fosse solo questione di Arte, perché mai si dovrebbe frequentare un conservatorio? In fondo tutti sanno battere le dita sui tasti di un pianoforte e imparare a suonare “Tu scendi dalle Stelle” alla pianola regalataci dal Papi per Natale. Se magari imparo a suonare anche una canzone dei Roxette perché non pensare che il Talento non sia sufficiente? Non ho mai capito perché qui da noi è di moda pensare, per i non addetti ai lavori, che per scrivere un romanzo Fantasy non serva alcuno studio. Ultimamente ho letto Twain (il buon vecchio Mark), Orson Scott Card, Ben Bova e altri. Non contento, ho letto un casino di autentici capolavori del genere per capire cosa NON dovessi fare per scrivere “Nexius”, il mio primo romanzo Heroic Fantasy nudo e crudo. Molto, molto, ma davvero molto nudo e crudo. E tutto questo dopo aver già pubblicato sei volte, dopo aver scritto altri romanzi, al momento inediti, per i quali ho studiato altrettanto. È stato molto utile, in primo luogo per l’evoluzione del mio stile. Per capire che non è perfetto e che forse non lo sarà mai, ma è soddisfacente sapere di essere migliorati, di essere riuscito ad andare avanti. Di sfidare me stesso tentando nuove regole e nuovi approcci alla Narrativa Fantastica. Questa è la vera, autentica differenza che passa dal battere a caso sul pianoforte per pura curiosità e saper suonare per godere della musica vera. Quella fa palpitare davvero il cuore, quella tocca le corde della tua anima e ti fa provare l’ebbrezza, magari per poco, di esserti allontanato dal mondo grigio che ti circonda. Scrivere, per me, è come suonare: i pensieri nascono da soli nella mia mente, i personaggi vivono, muoiono, evolvono, le storie si dipanano, le idee sorgono e quando finalmente le trascrivo su carta mi rendo conto che, anche se buone, necessitano di un linguaggio diverso dal solito e che le regole di questo linguaggio sono matematiche, proprio come la musica. Adesso qualcuno di voi potrebbe chiedersi perché mai io abbia letto solo manuali di scrittori stranieri o romanzi di anglosassoni. Perché a me piace la narrativa fantastica (fantasy e fantascienza) e in Italia quasi nessuno conosce l’argomento. Quei pochi scrittori davvero bravi che esistono, Zuddas in primis, non mi pare abbiano mai pubblicato niente del genere sennò sarei a rompere le balle davanti casa sua implorandolo di dirmi quel che sa dell’argomento. Ergo, dobbiamo rivolgerci fuori dal nostro orticello e scoprire il resto del mondo. E magari capire che sono decisamente più avanti quanto a tecnica e narrazione. Lo studio dei manuali e, in seguito, l’esame dei romanzi di qualità, fa scoprire al neofita che esistono regole ormai verificate da oltre duemila anni di retorica. Quali sono queste regole?



Scrivere richiede occhio!

1) Scrivere sempre in maniera semplice e chiara.

2) Scartare il superfluo senza eccezioni.

3) Mostrare molto, raccontare poco.

4) Uso parsimonioso di avverbi, aggettivi, descrizioni eccessive per scene secondarie.

5) Scegliere con attenzione il punto di vista a seconda del romanzo che vogliamo scrivere.

6) Progettare la storia con attenzione alle parole, ai personaggi, alle scene.


Seguire queste regole che sono fondamentali e altre un po’ più fumose non limita la libertà di azione e anzi amplia gli orizzonti del possibile, narrativamente parlando, è chiaro. Per esempio, se comincio una storia con: “Marcello mi rivelò come scriveva le sue canzoni!” Capisco che è un raccontare, non un mostrare, quindi sto sbagliando e posso correggermi. E così via. Infine tali regole sono seguite dagli editori. Quelli anglosassoni, almeno, ma anche da qualcuno qui da noi nonostante i criteri adottati nel Bel Paese sembrino a volte aleatori. Nel corso del tempo ho trovato molti Editori attratti davvero non solo dal guadagno, ma anche dalla qualità di quanto pubblicano. Alcuni, purtroppo, non trattano i miei generi, altri sì e infatti ho contattato un paio di questi ultimi, scartando per principio svariate majors. E vi assicuro che ne ho studiate tante prima di decidermi a inviare qualcosa, parlo di almeno un centinaio. Poca cosa, se paragonata alle migliaia esistenti in Italia, ma io sono solo, mica una squadra di calcio! C’è una cosa che però, parlando di mercati, non si può fare a meno di notare: gli scrittori anglosassoni vendono milioni di copie anche da noi, gli scrittori italiani, in alcuni casi, vendono molto ai loro compatrioti, poco all’estero. Un po’ come il Cinema italiano, se vogliamo. Mi sto riferendo agli ultimi anni, ormai tramontate le co-produzioni faraoniche tra Cinecittà e Hollywood, e ormai finiti i tempi, in cui gente come il già citato Zuddas pubblicava i propri splendidi romanzi. Ma il termine di riferimento anglosassone, nonostante le tonnellate di sterco fumante prodotto anche all'estero, resta la stella polare dove dovrebbe tendere un aspirante scrittore. Quindi, tanto per intenderci: la narrativa di genere fantastico è esemplificata da regole obbiettive, forgiate da esperienza secolare. Secondo fatto: gli editori che conoscono il loro mestiere si attengono a quelle stesse regole per scegliere chi e cosa pubblicare. Almeno teoricamente. So benissimo che per quanto riguarda i criteri di scelta editoriale potremmo discutere fino alla fine dei tempi, ma ho detto “teoricamente”. Ah, e se state pensando che tanto qui da noi si pubblicano Dogs and Pigs, (Cani & Porci) senza uno straccio di competenza, ciò non deve interessare chi vuole scrivere bene qualcosa di qualità. Chi non vuole apparire per mostrare cosce e tette in tv perché fa figo, ma vuole scrivere perché ne ha il bisogno. Pubblicare certi romanzetti spacciati per casi editoriali è una disgrazia quindi perché farlo anche noi? Una cosa: ovviamente non bastano i manuali, bisogna leggere, sempre e comunque, bisogna essere capaci di una fantasia di prima qualità che sia indifferente per principio alle sciocchezze di moda (Talento Genetico?) e sia attratta dagli eccentrici voli dell’inconscio. Attività piuttosto piacevole, ve l’assicuro, specie se spegneremo i cicalecci della televisione per sdraiarci sul divano, cuscino sotto la testa, bibita fresca, libri sparsi sul pavimento in vari stadi di usura. Così si fantastica e, se il talento vero alberga davvero nei nostri cuori, così si sogna e si scrive.
 

Massimo Valentini

lunedì 6 febbraio 2012

"The Thing", recensione film




Ed eccoci arrivati alla seconda parte della recensione de "La Cosa": questa volta parliamo del film di Carpenter e del recente prequel del 2011, dall'omonimo titolo, firmato da Heinjningen. Non dimenticate di dire la vostra...


John Carpenter e “La Cosa”:

Carpenter è stato forse uno dei registi più politicamente sfortunati nell’epoca del grande senso anticomunista che Ronald Reagan, l’ex divo della celluloide diventato Presidente, aveva impresso agli Stati Uniti. Bandiera di questo trend negativo fu certamente una delle pietre miliari del suo cinema, “Essi Vivono”, manifesto contro il consumismo che usa la Fantascienza quale metafora contraria al consumismo imperante simboleggiato dal sogno americano. Con quella pellicola, in seguito diventata, proprio come altri suoi capolavori, un cult, Carpenter era diventato una sorta di lebbroso e molti amici e cineasti gli negarono il saluto, temendo di essere contaminati da quello che sembrava un “comunista” americano. Ciononostante, quando decise di rifare “La Cosa” ebbe a propria disposizione un adeguato talento visionario e un’ottima capacità tecnica per restituire splendore al romanzo di Campbell. La sua “Cosa”, però, non è da intendere come un semplice remake ma come una genuina interpretazione che rende migliore giustizia al libro. Tanto per cominciare l’alieno si riappropria delle sue capacità mimetiche, anche se resta priva dei poteri telepatici, ma il suo aspetto è quello di un incubo biologico vero e proprio. Gli effetti speciali curati da Rob Bottin sono notevoli pur senza la CGI che oggi spadroneggia un po’ ovunque e anzi, per certi versi, sono molto migliori di quelli moderni, tanto che questo film è ancora molto godibile. Il progetto originario si avvaleva della collaborazione di Ennio Morricone per le musiche ma in sede di montaggio, il regista decise di limitarne il più possibile l’uso, con grande scorno del pur bravissimo compositore italiano che vide impiegate solo minime parti del suo lavoro. A ben vedere non fu una cattiva scelta perché senza le musiche sono state il rumore degli elementi, del vento, della cupa freddezza dei ghiacci antartici a favorire il senso di oscura minaccia che caratterizza il film. Ottima la scena dell’esame del sangue che è un degno adattamento del romanzo. A differenza del film di Hawks, qui a nessuno balena l’idea di comunicare con il mostro e quindi la violenza è la sola risposta possibile. Non sappiamo che aspetto abbia l’essere perché ciò che è mostrato è un organismo che imita le altre forme viventi che divora e anche l’animatrone che compare nelle ultime scene non sembra quello “originario” poiché è un collage tra canidi, tentacoli e una testa simile a quella di un tirannosauro.



Un fotogramma de "La Cosa" di J. Carpenter


Proseguendo con le differenze tra questo e quello del 1951, il film di Carpenter non mostra un lieto fine e i due unici sopravvissuti, forse non a caso un bianco e un uomo di colore, sono condannati alla morte per ipotermia. Qualche osservatore ha fatto notare che l’attore di colore non ha l’alito ghiacciato come MacReady e che quindi potrebbe essere l’ultima forma del mostro. Del resto, non possiamo neanche essere sicuri che l’alieno sia davvero morto. Sul fronte dei difetti certamente la scarsa caratterizzazione dei personaggi. Si pensa che il team sia formato da scienziati eppure per la pellicola non vediamo mai un laboratorio, eccetto quello da dissezione che vede Blair impegnato a sezionare il corpo del cane-Cosa, ma nessun esperimento, nessun tipo di lavoro. Tutti bevono, giocano a scacchi con i computer, a biliardo, guardano filmini pornografici e poco altro. Inoltre, qualcuno dovrebbe spiegarmi quale sarebbe la connessione logica, per un laboratorio di ricerca, che vedrebbe la presenza di lanciafiamme e rivoltelle come se invece che in Antartide la vicenda si svolgesse nel selvaggio west. Ci sono alcune scene francamente poco chiare come quella che vede il cane-Cosa gironzolare per la base e sgattaiolare nella stanza di un uomo del quale però si vede solo l’ombra. Studiando la scena fotogramma per fotogramma ho capito, dall’ombra, a quale personaggio si riferisca la sequenza, ma dopo la già citata scena dell’esame del sangue, altri componenti si rivelano altrettanti Cose, ma dallo svolgimento della pellicola non si capisce quando e in che modo sarebbero stati contaminati. Anche Blair rivela di essere un alieno ma, anche qui, non si capisce come abbia fatto, dal momento che proprio lui aveva dato di matto cercando di sensibilizzare gli altri sul fatto che l’essere era pericoloso. Alla sua uscita “The Thing” fu un fallimento, probabilmente a causa di un’errata campagna di marketing che vide il film di Carpenter distribuito proprio nel momento del massimo successo di “E.T.” di Spielberg, che proponeva l’immagine di un contatto alieno assai più dolce e rassicurante. Inoltre, addosso al regista piovvero moltissime critiche al punto che dovette difendersi di aver fatto “pornografia della violenza”. Come sempre capita quando si a che fare con opere innovative il successo arrise solo molti anni dopo e al momento “The Thing” è giustamente considerato un capolavoro del genere; un vero e proprio manifesto della SF-Horror che usa con sapienza terrore e mistero degli spazi cosmici che non può non rimandare la mente a “Il colore venuto dallo spazio”, uno dei più bei racconti di H.P. Lovecraft. Questa è un’osservazione mia, avvalorata dalla consapevolezza che le varie trasformazioni della Cosa ricordano da vicino certe forme mostruose tipiche dei racconti del Solitario di Providence, di cui Carpenter è un fan accanito. Senza dubbio, comunque, un’opera che non può essere ignorata da chiunque dimostri di amare a apprezzare il miglior cinema di Fantascienza di sempre.



Locandina de: "The Thing", Heinjningen


“The Thing”, di Heinjningen:

Dico chiaramente che quando scoprii dell’esistenza di questo remake le sensazioni che provai erano contrastanti. Da una parte la curiosità di quali novità avrebbero portato, in campo di effetti speciali, questa pellicola, dall’altra la perplessità sui remake che al giorno di oggi non risparmia nessuno nella Mecca del cinema a stelle e strisce. Complici la scarsa fantasia di registi e sceneggiatori odierni, complici la mancanza assoluta di idee e il voler ripescare a ogni costo nei vecchi titoli, nei fumetti, nelle favolette senza invece considerare il fatto che, per esempio, esistono fior di romanzi che potrebbero costituire ottime basi di partenza per film di successo. Ma evidentemente è molto più semplice confezionare prodottini scadenti senza mordente, con horror patinati all’eccesso ma senza sapore, storielle già viste e adattamenti improbabili. Così è, per molti aspetti, anche per questa pellicola. In effetti non si tratta di un remake ma di un prequel, perché la trama vorrebbe spiegare cosa successe nella base norvegese, quella da cui proveniva l’elicottero che inseguiva il cane-Cosa del film di Carpenter. Ma davvero il cinefilo accanito vorrebbe vedere cosa successe nella base norvegese dal momento che il film in questione, un prequel, già sappiamo come va a finire? Diciamo invece che l’idea del prequel è la solita operazione commerciale che, con la scusa di un omaggio al Maestro, ne ha praticamente copiato la trama senza aggiungere poco o nulla alla vicenda.


Fotogramma de "The Thing" di Heinjningen

Serve una bella faccia tosta per rifare film del calibro de “La Cosa”. Stai copiando Carpenter, mica un fesso qualsiasi, ma questo alle facce di bronzo di Hollywood non importa e infatti si vedono i risultati con gli eventi narrati che sono più o meno identici al prototipo. Nel caso di "The Thing" versione 2011 la faccenda non assume l’idiozia adamantina di certi film italici idioti come pochi (e non mi riferisco solo alle cazzate cinepanettoniane) ma il solo elemento di novità di questo film è che per la prima volta vediamo l’alieno con la sua forma originaria, simile al mostro-con-tre-occhi che compare sulla copertina del romanzo. Per il resto, vuoto assoluto. Siete ovviamente liberi di accusarmi di avere pregiudizi aprioristici e forse avete anche ragione perché se decidi di confrontarti con il film per eccellenza del Terrore Cosmico non puoi dirigere un film sciapo come questo. Non sto dicendo che Heinjningen sia un deficiente ma solo che gli manca l’esperienza e il genio visionario di Carpenter. Del resto è un esordiente con all’attivo quattro film indipendenti e qualche corto e un budget neanche tanto alto (35 milioni di dollari). Peccato e voglio dire: peccato davvero, perché il buon Carpenter, con budget risicati e a breve distanza uno dall’altro, fu in grado di scrivere e dirigere “Fuga da New York” e “Essi vivono” con budget praticamente paragonabili. Due capolavori al prezzo di uno e scusate se è poco!
 

Massimo Valentini